Marcello Campomori

E venne il sabato

È stata una lotta dura, fino alla fine. Mi sono sentito la terra in bocca, bruciato dal caldo e infastidito dal sudore, ma più che aumentavano  sofferenza, dolore e senso di ingiustizia, per un male cieco, assurdo e diabolico, più cresceva la chiarezza sul senso della libertà. 

Credo che questo racconto potrebbe essere adottato dalle facoltà di teologia per far entrare nel mistero del diavolo (il separatore, colui che, mentendo, accusa una parte perché l’altra entri in conflitto). Lo stesso vale per le scienze politiche, perché non venga mai smarrito il senso dell’agire pubblico. E così a scienza dell’educazione, per dire che il sapere deve avere il sapore del pane e della terra, l’onore del sudore e della fatica. 

Le parole imparate a servizio di tutti, del pensiero, dell’autonomia e della libertà di tutti. Il vero vincitore è il noi collettivo tessuto sul mantra che percorre tutto il libro: “Ogni altro sono io ..sentivano che quella frase voleva dire tutto, ma non capivano come poteva essere messa in pratica, come farlo capire agli altri”. Qui c’è un programma che una vita intera spesso è insufficiente a realizzare, ma rimane una direzione, una destinazione, un senso. Questa è l’attualità del paradosso di Alberto; la libertà che non evapora nemmeno davanti alla violenza più brutale e banale, come ci ha ricordato la Harendt. 

Il noi aleggia come un vincitore e, mano a mano che la violenza cresce, la vittoria è sempre più netta. 

Quando la parola diventa la voce della verità si sprigiona un gusto della libertà dal quale non si po’ tornare indietro. Penso al nostro lavoro di docenti e coltivo il sogno di trasmettere anche solo una scintilla di quel fuoco che quest’uomo (avrei voluto usare la U maiuscola) ha acceso in me. Un salutare bagno di umiltà davanti a quest’uomo integrale che vedeva negli altri, uomini e donne, persone compiute, libere, autentiche.

Alberto ci fa scoprire che il vuoto, la mancanza, il difetto, sono un canto alla pienezza. Forse confessare i propri limiti è il primo passo per desiderare la comunione. All’apice della violenza, Naìso ritrova la parola, forse anche il silenzio era diventato un lusso, e la ritrova davanti a un tu che la ama scatenando l’abissale libertà che spinge a donare, finalmente, anche il proprio corpo in un atto libero e liberatorio. È difficile trovare un testo che parli della risurrezione dei corpi con questa forza. 

Lascio questa pagina con le lacrime grate ad Alberto, a te Sonia, a tutti coloro che si spendono nel silenzio, davvero, sempre. Posso dire anch’io che Alberto è vivo.

Grosseto, 13 dicembre 2021
Marcello Campomori

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