Alberto Manzi, bambino e scolaro
Nasce a Roma, il 3 novembre 1924, nel rione Borgo, da Ettore Manzi, tranviere, e da Rina Mazzei impiegata presso gli uffici annonari del Vaticano.
Nel 1927, a causa dello smantellamento della Spina di Borgo, vengono sfrattati e viene loro assegnato un appartamento nelle case popolari di piazza Bologna, allora periferia romana dove con la nascita della sorella Elena (1928), la madre lascia l’impiego per dedicarsi esclusivamente alla famiglia.
Dalla marina alla scuola
L’8 settembre 1943, dopo l’Armistizio, la Repubblica Sociale chiama le classi del 1924/25 dando un ultimatum di 30 giorni per presentarsi, pena la fucilazione.
Antifascista come tutta la sua famiglia non si sottomette a Salò e riesce a nascondersi grazie al padre (il padre di Alberto Manzi fu bersagliere nella Prima guerra mondiale e nella Seconda Sergente delle Guardie Palatine, volontario nella Croce Rossa sui treni ospedale e Guardiano del Pantheon per i Cavalieri di Malta), evitando così i rastrellamenti rifugiandosi presso la sede romana dell’Ordine di Malta.
Nel 1944, con l’arrivo degli Americani decide di arruolarsi volontario presso il Battaglione San Marco alleato all’VIII° Armata Inglese. Raggiunge Brindisi ed il suo comportamento durante il colloquio di reclutazione, grazie alla sua ironia, colpisce il Comandante che lo vorrà suo segretario fin dopo la fine del conflitto: Nome cognome e titolo di studio? – “Diploma magistrale” – sai leggere e scrivere? – “No” – furono le sue risposte suscitando le risa dei commilitoni.
Termina il servizio militare nel 1945 dopo aver partecipato a tutta la campagna della Linea Gotica fino a Bolzano terminata con il 25 aprile. Tornato col Battaglione a Brindisi il Comandante lo trattenne ancora tre mesi prima di congedarlo per farsi aiutare nelle pratiche di fureria.
L’esperienza della guerra in marina lo cambierà profondamente influendo in modo decisivo sulla scelta di dedicarsi all’educazione e di fare il maestro.
Continua a studiare all’Università a Roma seguendo le sue passioni e coltivando un profondo interesse per la biologia e per la pedagogia che lo portarono a collaborare con il prof. Luigi Volpicelli come assistente e a dirigere la Scuola sperimentale del Magistero di Roma nel 1953. Manzi farà questa esperienza per un anno e poi l’abbandonerà, preferendo la scuola elementare.
“Il mio sogno da ragazzo era di fare il capitano di lungo corso, per cui ho studiato all’Istituto nautico, ma contemporaneamente studiavo all’Istituto magistrale […]. L’Istituto nautico lo frequentavo perché mi piaceva, […] ma pensando sempre di fare il maestro”.
Alberto Manzi si diploma nel 1942.
“Facendo la guerra, poi, ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo delle falsità. […] Soprattutto dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi. […] rinnovare un po’ la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano”.
Dall’intervista videoregistrata del 13 giugno 1997, rilasciata a Roberto Farné e interamente trascritta in: E. Morgagni (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica, Carocci, Roma 1998.
Educatore al carcere minorile
Dal 1946 al 1947 Manzi insegna nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma dove condusse la prima esperienza come educatore. Manzi deve insegnare a circa 90 ragazzi fra i 9 e i 17 anni (perché al 18° passavano al Regina Coeli) con alfabetizzazioni e storie differenti, in un’enorme ‘aula’ senza banchi, sedie, libri. Senza niente. L’ambiente è durissimo. Quattro insegnanti prima di lui avevano rinunciato… Il gruppo è difficile, però Manzi riesce a guadagnarsi l’attenzione dei ragazzi iniziando a raccontare la storia di un gruppo di castori che lottano per salvare la propria libertà. I giovani carcerati scrivono insieme la storia e la portano in scena. Funziona. Il gruppo è ormai coeso: anche grazie alla fiducia del direttore del carcere e del sacerdote, i ragazzi pubblicano un giornale, La Tradotta. È il primo giornale fatto in un carcere.
Dal lavoro svolto coi ragazzi Manzi rielaborerà in seguito il suo primo romanzo, Grogh, storia di un castoro, premiato nel 1948 con il “Collodi” per le opere inedite, due anni dopo pubblicato dalla Bompiani e poi tradotto in 28 lingue; nel 1953 ne fu ricavata una riduzione radiofonica dalla Rai. “Di tutti quei ragazzi, quando sono usciti dal carcere, solo 2 su 94, così mi fu detto, sono rientrati in prigione”. Il suo primo stipendio è di 9.000 lire al mese.
Nel 1950 Domenico Volpi lo chiama a collaborare con la casa editrice AVE per la quale pubblicherà numerosi testi scolastici e farà parte della redazione de “il Vittorioso”, rivista per ragazzi, lavorando con Gianni Rodari, Jacovitti, Giacomo Cives.
Il maestro critico riformista
Alberto Manzi nel suo mestiere di insegnante riversava entusiasmo, impegno, volontà di sperimentare, di rimettere continuamente tutto in discussione. Non fu mai entusiasmante il suo rapporto con l’istituzione e la gerarchia scolastica. Né con il potere in generale. Il maestro Manzi aveva idee (e ideali) molto chiari. Vedeva come purtroppo andavano – o non andavano – le cose, sia nelle scuole urbane che in quelle rurali, e come invece sarebbero potute andare, solo se… se non…
Nel 1950 scrisse una sferzante lettera aperta al signor Gonella ministro della Pubblica Istruzione e le due pagine di Pensierini sulla scuola d’oggi: la sconsolata e sconsolante radiografia di un malato che non è mai stato “immaginario”: “…Sono forse pensierini cattivi… avvelenati dalla bile di un fegato marcio. Scuola d’oggi: rovina di un prossimo futuro. Il male è alle radici, è nel tronco, è nei rami: ovunque. È nei maestri, nei direttori, negli ispettori, nel ministro. Cosicché le patrie galere rigurgitano di minorenni.
Maestri impreparati e che non vogliono prepararsi sono dilagati nella scuola travolgendo i pochi onesti… “Ti sei preparato?” “No. Che importa? Conosco il tale…”.
Orzowei
Nel 1954 Manzi scrive Orzowei e vince il Premio “Firenze” per opere inedite del Centro Didattico Nazionale. L’anno successivo lo pubblica l’editore Vallecchi di Firenze, e nel 1956 entra nel catalogo Bompiani. Nello stesso anno viene segnalato al Premio internazionale “H.C. Andersen” e Orzowei viene tradotto in 32 lingue. Fu un clamoroso successo internazionale. Nel 1980 la Rai, in coproduzione con la Oniro Film, ne ha ricavato 13 puntate per una riduzione televisiva e una versione cinematografica.
Maestro, e non solo, in America latina
Nell’estate del 1955 Manzi, che è anche studioso naturalista con laurea in Biologia e specializzazione in Geografia, riceve dall’Università di Ginevra un incarico per ricerche scientifiche nella foresta amazzonica.
“Vi andai […] per studiare un tipo di formiche, ma scoprii altre cose che per me valevano molto di più”
Scoprì la dura vita dei nativos tenuti nell’ignoranza perché fossero più deboli e il loro lavoro meglio sfruttabile. Per oltre 30 anni, Manzi si recò ripetutamente nella foresta amazzonica per insegnare a leggere e a scrivere agli indios; da solo, con studenti universitari e poi con l’appoggio di missionari Salesiani. Diede anche impulso a cooperative agricole, indirizzò i contadini verso piccole attività imprenditoriali. Accusato dalle autorità di essere un “guevarista” collegato ai ribelli, fu anche imprigionato e torturato; dichiarato “non gradito” continuò ad andare clandestinamente, fino al 1984.
Le sue esperienze sudamericane rivivono in tutta la loro densa realtà nei romanzi La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), E venne il sabato (2005), Gugù (2005).
Un maestro elementare alla RAI
Nel 1960, in novembre, Alberto Manzi viene mandato dal suo direttore didattico a fare un provino alla Rai: stavano cercando un maestro per un nuovo programma per l’istruzione degli adulti analfabeti; viene scelto e gli viene affidata la conduzione di Non è mai troppo tardi, trasmissione che durerà fino al 1968. L’idea del programma e del titolo fu di Nazareno Padellaro, direttore generale della Pubblica Istruzione. In questo periodo Manzi è un “insegnante distaccato” presso la Rai: “Continuavo a percepire il mio stipendio di maestro elementare. Dalla Rai ricevevo un ‘rimborso camicia’ perché il gessetto nero che usavo per fare i disegni era molto grasso, si attaccava ai polsini della camicia e li rovinava…”. Non è mai troppo tardi è considerato uno dei più importanti esperimenti di educazione degli adulti nel mondo, conosciuto e citato nella letteratura pedagogica internazionale, innovativo nell’impianto organizzativo, nello stile di conduzione e nel linguaggio didattico. Indicato dall’Unesco come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo, nel 1965, al congresso internazionale degli organismi radio-televisivi che si tenne a Tokyo, ricevette il premio dell’UNESCO.
“Non insegnavo a leggere e scrivere: invogliavo la gente a leggere e a scrivere”
ha detto Alberto Manzi della famosissima trasmissione con cui, possiamo dire, sia diventato “il maestro degli italiani”.
Non è mai troppo tardi venne conosciuto ed imitato come format televisivo da altri Paesi, in particolare dell’America latina.
"Non è mai troppo tardi" in Argentina
Nel 1987 Manzi fu chiamato a tenere un corso di formazione di 60 ore per i docenti universitari che avrebbero dovuto elaborare il “Piano Nazionale di Alfabetizzazione” che il Governo argentino voleva realizzare sul modello di Non è mai troppo tardi. Dal 16 al 25 settembre Manzi fu l’illustre docente di questo corso. Ne rimangono appunti dettagliati e assai interessanti, che confermano l’organicità e la chiarezza con le quali Manzi affrontava tematiche e lavori.
Nel 1989 l’Argentina, grazie anche al maestro italiano, ricevette il riconoscimento dell’ONU e un premio internazionale per il migliore programma di alfabetizzazione adottato in tutto il Sud America.
Maestro anche alla radio
Nel 1951 Manzi vinse un premio radiofonico per un racconto per ragazzi presentato alla radio. Da allora ebbe una collaborazione costante con la Radio per le scuole, per 40 anni, dal 1956 al ’96. Ma già nel 1950 Manzi aveva ideato, per la trasmissione, Il vostro racconto, un romanzo da scrivere insieme alla radio, a puntate, con i contributi narrativi dei giovani ascoltatori, intitolato Il tesoro di Zi’ Cesareo di cui lui aveva scritto il capitolo iniziale. Manzi aveva compreso assai per tempo le potenzialità del mezzo radiofonico: efficace partner didattico e scientifico, ideale per stimolare fantasia e creatività, il limite del non vedersi che diventa opportunità di suggestioni, di promozione per i libri e la lettura, di conoscenza e approfondimento della lingua italiana.
Per la radio Manzi fu autore e conduttore di trasmissioni, scrisse e rielaborò favole per bambini, testi scientifici, didattici e culturali, sperimentò il mezzo radiofonico con i giovanissimi nonché con gli adulti, gli italiani emigrati e i loro figli. E proprio le 40 trasmissioni di Curiosità delle lingua italiana, nel 1996, per gli italiani all’estero e gli stranieri studiosi della nostra lingua, diventeranno la sua ultima collaborazione Radio-Rai.
Essere uomini
Manzi è stato anche poeta. Le sue prime scritture hanno forme e metri della poesia. Manoscritte su gruppi di fogli e quaderni e poi trascritte a macchina in più copie su sottili veline: il fondo archivistico del Centro Manzi conserva tutti questi scritti, che documentano quanto “bollisse” nell’animo passionale ma già ben formato del diciottenne Alberto. Non l’intimismo del proprio “io” ma, al contrari, liriche nutrite di forte idealità patriottica e civile si mescolano con poesie di attenta analisi della società e dei vizi degli uomini (come Italianucoli), con rime di forte accento satirico, in un romanesco che rimanda a Trilussa.
Alla poesia scritta Manzi tornerà tra il 1983 e il 1984, con 16 poesie dedicate alla moglie Sonia (pubblicate postume in Essere uomo, Edizioni Laurum, Pitigliano 1998). Poesie di affetti, ma ancora una volta – chiudendo il circolo della sua vita – Manzi ribadisce i “fondamentali” della sua visione della vita e dell’uomo:
… perché così non saremo uno,
soli, sotto il tacco del potere,
ma noi, tutti, un uno plurimo
che cantiamo la gioia
di essere uomini.
(11.6.83)
A destra, due poesie di Alberto Manzi in romanesco sui valori dell’uomo.
BRINDISI
Fra tanti brindisi
fatti a li conti,
ai senza titoli,
a tanti tonti,
vojo pur’io
cantanne uno
a gloria eterna
de quarcheduno.
Evviva tutti,
viva nissuno!
Arzanno er bicchiere
brindo a la faccia
de quell’emeriti
granni magnaccia
che pé riempisse
er gorgozzone
han ruvinato
una nazzione.
Viva er magnone
cor suo trippone!
E arzo er bicchiere
ai partitanti,
d’ogni bacaccia
umil serpanti;
ai Tajeranti
d’ogni momento
che van giranno
seconno er vento.
Viva er contento
der cambiamento!
E grido ‘n’evviva
de tutto core
ar gran capo-branco
magno signore;
agli sciacalli
degni sui fiji
latranti fessi
e senza artigli.
De li mandrilli
viva i cipigli!
E brinno ai timini
cervi cornuti,
che se riparano
tremanti e muti,
de fronte all’urlo
crudo e servaggio
de questo branco,
senza curaggio.
Viva ervcartone
e l’imballaggio!
Viva le puzzole,
volpi e faine,
ch’er branco lisciano
(quante moine!).
Viva i cantori
de foibe immani,
e li bechcini, e li caimani!
Viva i non-nati
co sto domani!
Evviva li vermi
sempre striscianti;
evviva gli Audisi
e i tolleranti.
Evviva i i fessi
che lascian fare
per la paura
de nun campare.
Viva la pace e ‘r benestare!
Evviva st’aborto!
Viva sto branco,
che seg
ER SONATORE
Ognuno che passava a Ponte Rotto
buttava ‘no sguardo addosso ar vecchio
che stava rannicchiato a ‘n’angoletto,
coi du’ zeppi de gambe accavallati,
su le spalle ‘no straccio tutto rotto
e tra le mani ecche, ‘n’organetto.
Quuarcuno, ortre lo sguardo, je buttava
appena sordarello dentro un secchio
che ciavea tra li piedi. E lui sonava;
come se er sordo, cor tintinno fatto,
avesse messo in moto l’organetto.
Intorno ar vecchio ieri, verso sera,
la gente ciavea fatto un ber gruppetto.
M’avvicinai pe’ vedé ched’era:
C’era chi borbottava e chi rideva;
er vecchietto sonava ‘na preghiera,
er “TANTUMMERGO” che se canta a sera.
Co l’occhi verso er celo lui sonava;
la mano je tremava su li tasti.
Un cane pidocchioso je leccava
er ditone ch’usciva da ‘na scarpa.
Che voi: er logo, ‘a musica sonata,
er cane che leccata tutt’assorto;
er minimo che fecero… Fischiata!
De tutto questo a lui che je fregava?
Credeva da sta ‘n celo, e je bastava.
Premi e riconoscimenti
Riccamente eclettica, l’attività di Alberto Manzi è stata ampiamente riconosciuta nell’arco della sua vita con numerosi e diversificati premi assegnatigli per i romanzi e i racconti, per la radio, per le trasmissioni televisive, per l’attività pedagogica e gli scritti per la gioventù. Il primo della serie è stato il Premio Collodi per il romanzo allora inedito Grogh, storia di un castoro (1948), pubblicato nel 1950 dalla Bompiani. L’ultimo, il Premio Bardesoni per la riduzione in commedia di Tupiriglio, pubblicato nel 1988. In mezzo vari premi internazionali, della Presidenza del Consiglio italiano, dell’UNESCO… Nel 1961 fu anche nominato cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana.
Viene nominato cavaliere dell’ordine «Al merito della Repubblica italiana»:
Il Presidente della Repubblica
Vista la legge 3 marzo 1951, n. 178;
Visto lo Statuto dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” e avvalendosi della facoltà concessagli dall’art. 2 dello Statuto medesimo;
DECRETA
108559 al Signor Alberto MANZI è conferita l’onorificenza di CAVALIERE dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.
Il Cancelliere dell’Ordine è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Dato a Roma, addì 13 settembre 1961
Alberto Manzi sindaco di Pitigliano
Nel 1994 Alberto Manzi accetta di candidarsi e viene eletto sindaco di Pitigliano, in provincia di Grosseto. Completa così il cerchio dell’impegno sociale e civile che ha caratterizzato – accanto a quello educativo: nel carcere e nelle aule scolastiche, alla radio e alla televisione, e alla produzione letteraria – la sua ricca biografia. Nemmeno l’impegno quotidiano da primo cittadino blocca la sua capacità e la voglia di analizzare e di progettare, sia per il territorio di Pitigliano, sia per la scuola e i bambini. Quanto scritto su di lui dal 4 dicembre 1997 (data della sua scomparsa), ad oggi, fatica a dare la misura completa di quanto Alberto Manzi abbia realizzato nel corso dei suoi 73 anni di vita.